sabato 14 luglio 2007

LE INDIGENI


Disegni di Roberta Pierpaoli, colori di Marina Iovine.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.

2079. Da anni i neocoloni terrestri stanno lavorano per edificare la loro città, la futura Eternopolis. Nonostante le difficoltà, l’entusiasmo non abbandona i volontari dell’Eternia (...).

Fino a quel momento gli stessi hanno creduto di essere gli unici abitanti sull'asteroide, invece presenze invisibili, li osservano silenziose: sono le indigeni del posto, esseri molto, ma molto simili a farfalle, ma dalla insolita pigmentazione, che aspettano solo il momento giusto per comparire. Il momento è quasi arrivato.

lunedì 2 luglio 2007

RIMINICOMIX 2007

"Segnaliamo la presenza nel giorno 21 di Luglio presso gli stand di Cronaca di Topolinia di Nicola Zanni (a breve impegnato con le 32 tavole del primo episodio di Eternopolis - serie!) e di Roberta Pierpaoli ( disegnatrice alle prese col secondo episodio breve d Eternopolis "Farfalle Verdi!") di RiminiComix 2007. I due disegnatori, insieme a tutto lo staff di Cronaca di Topolinia, saranno disponibili a disegnare e parlare con voi dei loro progetti in corso e naturalmente anche di Eternopolis! http://www.riminicomix.com/
Buon viaggio!"

domenica 1 luglio 2007

NELLE NEBBIE DI IO

L'atterraggio fu più indolore della partenza. Martia spostò lo sguardo verso l'esterno, cercando, oltre il finestrino dell'Eternia, qualcosa di riconoscibile. Nebbia. Una fittissima nebbia. Non vedeva ad un palmo di naso. Si spinse comunque con lo sguardo oltre, ma invano. Nonostante tutto, era un incanto quella foschia bianca.
L'autoparlante bofonchiò qualcos'altro poi si ammutolì, quando Martia si voltò, non trovò più nessuno nella hall. Forse per l'eccitazione si erano tutti catapultati fuori da lì, dimenticandosi di lei. Sorride e si diresse verso la porta. Avrebbe fatto lo stesso.

"Posso uscire anch'io?" chiese timidamente ad uno che forniva le tute spaziali. Lui la guardò, in volto, poi lo sguardo scivolò sulla sua pancia. No, che non poteva nasconderlo, quindi valeva la pena dire la verità. Lui ci pensò un attimo mettendo una mano sul mento, come se quel gesto gli conferisce una certa autorità.

"D'accordo! Ma se non le dispiace l'accompagno io!".

Indossò il casco alla fine. La tuta spaziale era piuttosto aderente ma non le procurava alcun fastidio. Suo figlio sembrava divertirsi all’idea, muovendosi scatenatissimo in pancia.

La nebbia. Adesso da vicino, sembrava nascondere mille segreti, oggetti terrestri ormai dimenticati e forme vagamente umane che la scrutavano.
Chiuse gli occhi. Doveva essere la stanchezza, eppure la gravità era più bassa di quella all'interno dell'astronave, oppure l'ossigeno della bombola, non poteva saperlo. Ricordò la Terra, i prati verdi, la pioggia sottile e continua. Il ricordo di casa era piacevole, le dava serenità, quella che le serviva per affrontare quella incosciente esperienza.

"Come si chiama quest'asteroide?" sibillò nel casco.
"Asteroide? Siamo scesi su una luna di Giove, siamo su IO!" si sentì rispondere.
"Come? Io avevo capito che..."
"Sì. Si sono accorti che l'asteroide non --"

La trasmissione si interruppe sul più bello. Martia riaprì gli occhi. Si voltò. Del suo accompagnatore non v'era traccia. L'unica cosa che vedeva era la nebbia che per un attimo le sembro ancora più fitta. I suoi movimenti furono rapidi, ma questo non l'aiuto a ritrovare quel ragazzo. Il bianco della foschia sembrava entrarle nella tuta spaziale e infine la colse la paura più pallida.

"miodio"

Portò la mano sul pancione e cercò un qualsiasi un punto di riferimento utile. Poi percepì una musica insolita. Tentò di affinare l'udito, cercando di distinguerne i suoni. Aveva studiato musica per diversi anni, ma lei era svogliata, si affidava volentieri proprio a quell'udito per eseguire velocemente gli esercizi e togliersi quel peso di dosso. Ascoltò meglio. Non era una scala conosciuta. Gli intervalli tra i vari suoni erano, come dire, sospetti. Forse c'erano addirittura dei suoni intermedi tra i toni e i semitoni, che non venivano mai utilizzati nella musica classica occidentale. Quel che le rimase da analizzare infine fu che si trattava di una cantilena: le parole non erano molte, anche se ripetute all'infinito e non erano terrestri, nemmeno quelle.

Ad un tratto dalla nebbia sbucarono delle figure umanoidi, sottili, lanciate verso l'alto, con dei grandi occhi grigi. Alieni. No l'aliena era lei, quella era la loro casa, era lei l'intrusa, lei e il suo bambino.

Aveva il terrore negli occhi, ma quel canto, che proveniva da quelle curiose bocche appena distinguibili dalle guance, tutto sembrava meno che ostile. E quelle figure, a pensarci bene sembravano delle donne, per via di quelle specie di mammelle. Non ci aveva fatto caso oppure avevano appena cominciato: le femmine di quella pianeta dondolavano su se stesse, come in una danza appena accennata, come se, sì, stessero cullando un bambino. Un attimo dopo l'accerchiarono e la danza divenne un girotondo, ritmico, mentre quel canto insolito non accennava a fermarsi.

Poi quelle umanoidi si fermarono e un briciolo di paura tornò sul volto di Martia. Tutte insieme fecero un gesto, che le sembrò qualcosa come un inchino, o un saluto sempre molto sommesso: posarono le loro mani lunghe, di 6 dita, sulla sua pancia e poi scomparvero, nella nebbia, indietreggiando.

Martia restò incredula ancora qualche minuto, o così le parve. Realizzò quel che era successo solo quando il suo accompagnatore e altri due uomini la ritrovarono.

"E' qui! Finalmente! L'abbiamo cercata per ore!"
"Mi dispiace, non so come ho fatto a perdermi."
"Non importa, quel che conta è averla ritrovata! Andiamo! L'Eternia sta per ripartire!"
"Ripartire?"
"Sì, gli scienziati non pensano che questo sia il posto che stavano cercando per i loro esperimenti!"
"Capisco…"

Martia non disse più niente e niente a proposito di quella specie di allucinazione, ma seguì, senza pensare ad altro, i tre uomini ansiosi per lei. Eppure non poteva sbagliarsi: quel canto particolarissimo le risuonava ancora in testa e non poteva esserselo inventato, non con dei suoni ed intervalli così, che non aveva mai sentito.

Prima di risalire sull'Eternia si voltò per scrutare la nebbia fittissima. Non vide niente e quasi se ne dispiacque. Un attimo dopo, dall'Eternia, provò ad interpretare quel sogno ad occhi aperti.
Nessuno aveva ancora parlato di avvistamenti di indigeni, né di aver ascoltato canti o visto danze.
Lo aveva sognato certo, oppure la spiegazione era un’altra. Quelle erano donne di IO, con una conformazione simile alla quella dei mammiferi, e, alla stregua di una tribù arcaica, forse avevano soltanto eseguito un rito che facevano tra loro per ogni donna prossima a partorire, in segno di buon auspicio.

L'Eternia ripartì, il decollo fu più o meno uguale a quello avvenuto sulla Terra, solo che ora Martia pensava a suo figlio e a tutte le forme di vita che poteva contenere un Universo talmente sconosciuto.